Blow Up n. 143 - Aprile 2010

Vegetali, uccelli e meduse: le nuove strane canzoni di Andrea Tich

Quando nell'estate del 1978 uscì l'esordio di un giovanissimo Andrea Tich, “Masturbati”, furono in pochi ad accorgersi che si trattasse di un disco importante. Di quelli che aprono delle strade, fondano linguaggi, in una parola osano. In quella strana Italia gravata dal piombo e dai compromessi storici, dall'austerità e dal ripiegamento di ogni possibile illusione e bandiera, si verificava a più riprese il paradosso di concedere uno spazio privilegiato alle voci meno allineate e di lasciarle poi spegnere nell'indifferenza generale, subito sollecitati dalla curiosità successiva. La sostanza musicale dell'album era di per sé spiazzante: canzoni oblique, ironiche, sbilenche, istintivamente vicine ai diversi linguaggi d'avanguardia e sospese fra echi zappiani, sollecitazioni kraut, free form, folk psichedelico, canterbury sound, visionarietà e immaginazione al potere. Con in più un ineffabile istinto di teatralità che serpeggiava fra i solchi, traslandosi in anarchici sberleffi, o metafore dense. Ed infine una poetica ferocia a tematica omosessuale, che appare oggi da un lato uguale e contraria alle barchette dentro un tram di Alfredo Cohen e alla desolazione irosa di Faust'O, dall'altro complementare al boa di struzzo constrictor del primo Ivan Cattaneo. Ma quel che ancora oggi più emoziona è la necessità poetica, la naiveté che pervasero l'aspra decina di Andrea: verrebbe da dirla trasparenza se non ci fossero un velo di naturale malizia e la produzione discreta e geniale di Claudio Rocchi a rendere quelle stesse canzoni un gioco anche mentale. Se ne accorsero in pochi si diceva: il Belpaese era pronto per il transessualismo ratzingeriano da borgata di un Renato Zero. Ora, il tempo in qualche raro caso perdona quelli che hanno osato giocare d'anticipo e fa giustizia: tra le pietre miliari del prezioso catalogo Cramps, così come nella storia del cantautorato italiano “Masturbati” occupa ormai un ruolo di spicco. Lo sanno i molti che vi attingono, da Bugo alle Luci della Centrale Elettrica, agli stessi Afterhours. E la sorpresa più grande, più bella è che quella vicenda, che sembrava licenziata e conclusa, abbia infine avuto un seguito. Tich è tornato con uno splendido album nuovo, “Siamo Nati Vegetali”, edito da Snowdonia, (BU#142) e un immutato desiderio di suonare le sue “strane canzoni”.

Cominciamo con le ragioni di questo ritorno. Cos'è che ti ha spinto dopo tanto tempo a incidere di nuovo un album vero e proprio a tuo nome?

In tutto questo tempo non ho mai smesso né di fare musica, né di guardarmi intorno. Ma il fatto è che oggi vedo passare come in un film tante idee che avevo avuto, o che somigliano alle mie cose. Credo che sia stato proprio questo a farmi decidere di tornare. Certo non ho ambizioni da classifica, né un particolare desiderio di incontrare il gusto delle masse. Ho solo ritrovato la stessa urgenza di allora di suonare e raccontarmi, di continuare a lasciare il mio piccolo testamento musicale, riprendendo il discorso lasciato interrotto con “Masturbati”. Nella mia musica c'è un'evoluzione sonora forse, ma nell'essenza penso sia rimasta la stessa. Sono le cose intorno a me che sembrano tornate ad assomigliarmi. E quindi ci sono ancora una volta.

Il nuovo album è pubblicato dalla Snowdonia. Come è nato questo incontro?

Devo ringraziare Claudio Panarello, uno dei miei collaboratori di sempre, anzi suo nipote, che è un film maker appassionato di musica e che mi ha segnalato la Snowdonia e il loro modo di lavorare. Ho raccolto il suggerimento al volo ed ho scritto ad Alberto Scotti. Con mia grande sorpresa mi sono visto rispondere che “Masturbati” era sempre stato un disco di culto per loro e che avevano in mente di cercarmi da tempo. L'idea di “Siamo Nati Vegetali” è nata nel giro di poco tempo e tutto è stato facile. Mi sono trovato molto bene sia con Alberto che con Cinzia La Fauci, tanto che attualmente sto lavorando a un pezzo per il loro nuovo album. A conti fatti posso dire che l'incontro con Snowdonia mi ha come rigenerato.

Ti dici sorpreso della reazione di Cinzia ed Alberto all'idea di una collaborazione con te. Viene naturale chiederti come tu abbia vissuto il fatto che “Masturbati” sia nel tempo diventato un vero e proprio oggetto di culto.

Mi fai venire in mente una volta che sono andato con Giordano Casiraghi al Bloom di Mezzago e sono stato assalito da un gruppo di ragazzi con in mano il mio disco per farselo autografare. Ti giuro che mi sentivo ridicolo. Sono fatto così: quando ho dei riscontri positivi mi sembra quasi strano; penso di essere un anarchico, creo le mie cose senza pensare a ciò che sto dicendo o facendo, o a come potrà accoglierlo la gente. A volte anche pagando di persona: spesso a chiudermi maggiormente le barriere è stato il mio desiderio di non fare il cantante, ma di suonare la musica che sentivo, in modo spontaneo. Per questo aneddoti come quello che ti ho raccontato mi gratificano molto, ma faccio quasi fatica a pensare che davvero riguardino me personalmente.

In che senso ti definisci un anarchico?

Certamente non in senso politico. In realtà mi percepisco come un'isola, come uno che fa le cose essenzialmente per se stesso. A volte le recensioni hanno parlato di me come di un cantautore politicizzato, forse a causa di alcune liriche di argomento omosessuale, o per via della stessa Cramps, ma io mi sento anarchico esclusivamente perché vivo da solo con il mio mondo: non c'è nessuna intenzione programmatica in quello che scrivo, ma solo della libertà. Come ti dicevo sono del tutto alieno all'idea del riscontro, in quanto l'unico riscontro che mi interessi è suonare, fare degli spettacoli che parlino della mia musica, in cui dirò di un'avventura omosessuale, come dei fiori che sbocciano, di terremoto o di masturbazione.

A proposito di omosessualità: noti delle differenze tra il modo in cui la si viveva all'epoca in cui eri visto come un cantautore militante e oggi?

Ai tempi del mio trasferimento a Milano incontrai Ivan Cattaneo, Alfredo Cohen, mi ritrovai improvvisamente catturato nell'universo delle case occupate, del F.U.O.R.I., delle radio libere. Sino ad allora ero stato nella mia Sicilia a scrivere di cose “scottanti”, che avevano a che fare con il senso di colpa, pur senza rendermene conto. Si trattò di una sorta di punto di forza inconsapevole, perché mi fece fare il grande salto e incontrare un mondo che non mi apparteneva, ma al quale invece curiosamente appartenevo. Oggi le cose sono molto cambiate, ma di contro mi sembra che ci sia una maggiore tendenza a mescolare le persone e gli ambienti, e questo è un fatto sicuramente positivo, soprattutto per uno che come me ha sempre vissuto la propria omosessualità come un normale modo di essere.

Parliamo proprio del tuo arrivo a Milano e del tuo contratto Cramps. Mi racconti come andò?

Avevo mandato una cassetta a Michelangelo Romano di Pop Off e fu lui a consigliarmi di provare con la Cramps. Effettivamente all'epoca non ricordo che ci fossero molti addetti ai lavori ricettivi nei confronti di un discorso musicale come il mio. La gente quando sentiva quei pezzi, che nella versione demo erano ancora più radicali di quello che è finito poi su vinile, non mi buttava fuori per decenza. Ma con la Cramps fu diverso: non era un'etichetta, ma la Factory italiana di Gianni Sassi. Lui era un creativo più che un discografico, più le cose erano particolari più lui era contento: aveva Finardi, Camerini e Area che funzionavano, per cui le cose di contorno lo gratificavano in quanto finivano con l'essere una sorta di misura del suo coraggio artistico: Andrea Tich fu una di queste.

E così nacque “Masturbati”.

Il disco si chiamò così per volere di Gianni. Ricordo che voleva un titolo di rottura. Effettivamente dal punto di vista commerciale non fu una grande mossa. Tu ci pensi ad andare in un negozio e chiedere un disco che si chiama “Masturbati”? Peggio che andare in farmacia a chiedere i preservativi. La produzione doveva inizialmente essere di Demetrio Stratos, ma gli Area partirono per il tour mondiale e il disco fu fatto da Claudio Rocchi, che poi chiamò a suonare Lucio Fabbri e Hugh Bullen, per avere degli ospiti di rilievo. È stata una collaborazione bellissima: Claudio mantenne tutte le sonorità originarie, senza violentarne per nulla lo spirito. Facemmo impazzire il fonico Roberto Zappalà con i nastri Revox velocizzati e al contrario, pieni di sonaglini e batterie. Fu fatto tutto in due o tre giorni e in piena libertà: né Gigi Noia, che era il supervisore dell'etichetta, né Gianni Sassi misero piede in sala di registrazione. Fu un lavoro divertente: mi ricordo di una volta che facemmo un incidente col maggiolone, mentre ci recavamo allo studio, il J.S. Bach, che credo adesso sia di Toto Cutugno... dopo camminammo a passo d'uomo con me che tenevo il parafango... L'atmosfera era questa.

Il disco ebbe una qualche promozione?

Uscì qualche recensione, e poi feci dei concerti, pochi a dire la verità: con Pino Masi, con la Bella Band, a Roma con gli Arti e Mestieri. Mi vestivo da primavera nel bosco con la stoppa degli idraulici come capelli, suonavo la chitarra e l'armonica e cantavo, mentre Claudio Panarello suonava lo xilophono. A un certo punto chiamavo uno del pubblico e lo incitavo a mimare l'atto della masturbazione: era un modo poetico di dire qualcosa sul senso di colpa. Furono momenti splendidi, ma ti ripeto, troppo limitati di numero e nel tempo.

Cosa accadde dopo?

Ho ricordi nebulosi. Il mio contratto si esaurì, la Cramps fu rilevata da Tisocco e io cominciai a vagare in un mare di incertezze, senza avere alcun tipo di possibilità. Quando il catalogo fu preso dalla Polygram, feci un 45 giri commerciale con la Polydor, ma litigando con tutti e finendo con lo scindere il contratto. Le cose ricominciarono a girare quando con Maurizio Marsico ho messo su la Monophonic Orchestra, facendo pubblicità, colonne sonore, cose per la televisione, compilation, il progetto Mephistofunk, un disco su Milano, ancora con Maurizio, in cui raccontavamo la città come una mostra-museo a cielo aperto con le sue installazioni sonore: il tutto senza preordinate intenzioni di carriera, ma solo rispondendo alle mie curiosità musicali.

Sino ad arrivare a “Le Strane Canzoni”

Era parte di un progetto editoriale intitolato “Con questi occhi”, voluto dall'associazione omonima, che si occupa di temi legati alla disabilità. Oltre al mio disco c'è un calendario di disegni: è una creazione alla quale tengo molto, ma che non ha avuto pressoché nessuna diffusione, tanto che quando ho contattato Snowdonia volevo fare un album doppio, che contenesse anche quei brani. Poi la cosa non è stata possibile per ragioni economiche, così ho fatto una fusione di vecchio e nuovo, ed è per questo che “Siamo nati vegetali” contiene venti tracce, alcune delle quali tratte da quella pubblicazione.

A proposito del nuovo album, anche in questo caso ricorre il tuo alter-ego figurativo: Tich

È la mia parte fantastica, quella che rappresenta il mio rapporto con le arti figurative e con la grafica: metto nei disegni lo stesso spirito che mi fa creare la mia musica. Mele che cadono dall'albero, ma con il paracadute, un televisore che capta acquari: sono disegni che non hanno un significato simbolico vero e proprio, ma hanno la sola funzione di esprimere la mia fantasia.

È una dimensione visionaria che mi sembra si possa riscontrare anche nella musica di “Siamo Nati Vegetali”

È vero. Le canzoni partono da frammenti di testo che poi si sviluppano in musica: è come se io ti raccontassi una cosa e poi ti dicessi “adesso ascoltala”. La coda strumentale dei pezzi è quello che il testo ti vorrebbe far vedere, per cui mi piacerebbe che per queste liriche ci fosse uno sviluppo anche visuale. Per Vento Freddo ad esempio mi piacerebbe moltissimo venisse creata una coreografia.

A proposito di Vento Freddo, mi sembra che in questo come in altri testi ci sia una dimensione pascoliana, quasi un mondo da Digitale Purpurea

Mi piace il fatto di spiare le emozioni. Come mi piace che le cose siano sospese, irrisolte, per questo spesso si allude a un evento che poi non accade, o a un'immagine che non si consuma completamente. Io sono soprattutto un musicista, per cui il testo a volte è quasi una costrizione, o uno spunto, anche se a volte capita che la parola mi prenda la mano come è successo per La Scatola, oppure che le immagini siano densissime, come per Meduse In Amore , la quale nasce da una leggenda siciliana che vuole che le meduse, una volta fuori dall'acqua, diventino di vetro.

Essendo soprattutto un musicista, hai una preparazione accademica o soprattutto istintiva?

Certamente istintiva. Sia dal punto di vista tecnico che come approccio compositivo. Ho imparato da autodidatta, su una vecchia chitarra a due corde e un manuale con i pallini, e anche adesso faccio tutto da solo, qui a casa mia, con una chitarra midi, una acustica, una tastiera e i programmi di editing. Ormai sono restio a suonare gli studi.

Quando hai composto il materiale dell'album?

In epoche diverse. Alcuni di questi brani, per esempio Terremoto , che non c'entra niente con i fatti dell'Aquila, risalgono addirittura al tempo del primo disco, ma erano rimasti fuori perché la scelta era caduta su cose più “zappiane”, come Odore d'Erba , o Uccello .

Hai citato Zappa, quali sono le tue altre influenze?

Zappa è certamente quella più presente, ho una vera adorazione nei suoi confronti, anche per quel suo modo di spezzare la melodia, al quale a volte le mie canzoni somigliano. Ma ci sono anche i Kraftwerk, o certi colori, certe ambientazioni della musica dance tedesca: pur essendo siciliano, sono tedesco per parte di madre e sicuramente c'è qualcosa di kraut che mi scorre nelle vene e che influenza la mia musica.

Si può dire la stessa cosa anche delle tue origini mediterranee?

Certo. In Ma Ti Ricordi per esempio parlo del mare, del sole, della mia infanzia, di quando vivevo spensieratamente l'estate siciliana. La mia musica è stata molto influenzata dal clima, anche se nelle mie vene non scorre sangue siciliano ho assorbito la sicilianità e l'ho trasferita nella mia musica. Forse per questo delle volte nel nuovo disco ci sono delle atmosfere così cantabili.

Un elemento ricorrente nelle liriche di quest'album è il volo: di cosa parlano Invece di Volare e Raccontami ?

La prima parla di un'esperienza in acido, che consiste in quando voli e il tuo corpo si divide da dentro, un'esperienza diversa da quella degli uccelli, che invece si librano nell'aria con tutto quanto il loro corpo. Noi uomini possiamo volare, ma solo grazie a una droga e rimanendo con i piedi per terra. Raccontami è invece un dialogo tra un figlio che chiede alla madre di insegnargli a volare e questa gli risponde “siccome sei omosessuale non puoi volare come tutti gli altri”. In entrambi il volo è ricollegato a una sorta di divieto, di castrazione o frustrazione.

Da cosa nasce il titolo dell'album?

Mi piaceva molto il suono della frase, e anche questa specie di idea dell'uomo-pianta o della pianta- uomo. È un'idea che mi fa quasi pensare a Stevie Wonder e alla sua vita segreta delle piante, la cui musica raccontava come le piante abbiano una loro vita, pensino e comunichino.

Come proporrai il nuovo materiale dal vivo?

Sarò da solo con le basi, canterò e suonerò l'armonica. Ho in mente uno spettacolo multimediale, con video clip e immagini. Vorrei una sorta di scatola, qualcosa di intimo: una poltrona una abat jour e un monitor su cui proiettare delle immagini. Mi piacerebbe insomma che il live avesse anche una dimensione visuale.

Cosa ti aspetti da queste nuove strane canzoni?

Di suonare, suonare, suonare il più possibile.

Piergiorgio Pardo