| A distanza di un anno e mezzo 
      da Voices, oscuro e terribile capolavoro di ardita sperimentazione 
      psichica, gli Ohm rivolgono uno sguardo all'immediato passato prospettando 
      una rotta di navigazione attraverso oceani di astrazione siderea e di caligine 
      galattica, in un emozionante percorso dove l'attitudine sperimentale rimane 
      intatta, ma l'oscurità si dirada a favore di seducenti atmosfere più trasparenti 
      e leggibili, Raw Ohm, che nasce dalla consolidata collaborazione 
      tra le vitalissime etichette italiane Snowdonia e Mizmaze, è una raccolta 
      di cinque lunghe tracce improvvisate dal vivo nel periodo 1997-'98, cui 
      Doug Ferguson, Chris Forrest e compagni non si prendono la briga di dare 
      neppure un titolo. Se i clarinetti di Chris sono sempre l'elemento timbrico 
      più intrigante del quintetto texano, dal punto di vista del progetto generale 
      la tendenza di costui a virare il suono verso soluzioni più ricercate lascia 
      un pò il campo al girovagare istintivo delle tastiere di Doug, che attivano 
      mulinelli di vento cosmico carico di spore radioattive, spesso colti in 
      stimolante diverbio con il battito tribale delle percussioni. In quattro 
      brani su cinque, la front-line composta da Doug e Chris e la sezione ritmica 
      Nathan Brown / Forest Ward trovano il raccordo ideale nella chitarra di 
      Mason Weisz, protagonista fin dalla prima traccia, registrata al Melodica 
      Festival 1998 di Austin, di un volo interplanetario di grande respiro, in 
      combutta con un mellotron corroso da vapori di acido e spinto da sovrapposizioni 
      percussive degne dei maestri Guru Guru. Si ha subito la percezione 
      di quanto questo documento sia essenziale per captare le evoluzioni future 
      dell'estetica Ohm, nell'attesa di un terzo CD in studio già in fase di lavorazione; 
      il secondo pezzo, unico tra tutti ad essere tratto da una jam in studio, 
      scava spazi synthetici profondi aprendosi verso la vertigine del vuoto assoluto, 
      di nuovo con una distintiva flessione kraut che ce lo rende ancora più prezioso. 
      Si innestano qui nel modo migliore i due estratti dal concerto al Club Nowhere 
      di Fort Worth, il primo dei quali proietta immagini di lanterna magica nell'impalpabile 
      pulviscolo della stratosfera appena raggiunta, fuochi fatui che aleggiano 
      su figure ritmiche indistinte ed irreali; il secondo propone visioni più 
      cupe e minacciose, ma sempre a densità di materia molto ridotta, prima di 
      sterzare su un avant-noise cadenzato e stridente, con il clarone di Chris 
      che ipotizza una notte cubista trafitta da una luna in Tuxedo dal ghigno 
      malefico. Il lento avvitarsi in dissonanze space-rock della coda apre la 
      strada all'epica sinfonia minimale dell'ultimo episodio, tratto da un concerto 
      al "The Argo" di Denton dove Terry Riley è presente almeno in 
      spirito. Se l'invitante copertina cartonata amaranto (oversize come impone 
      la recente svolta grafica Snowdonia) catturerà il vostro occhio vigile, 
      sappiate che il contenuto è ancora meglio... Enrico Ramunni  |