"Un disco che, decisamente, non finirà in nessuna playlist di fine anno, perché non è abbastanza nuovo, abbastanza coraggioso (anzi alcuni ritmi sono già stati sentiti nel 1996 presso un rivenditore di dischi di Oslo). Però a noi piace parecchio, lo ascoltiamo in casa e anche in macchina". Così le note di presentazione di Snowdonia di questo debutto dei Plozzer. E potrebbe bastare come indicazione. Della serie, un disco che senza inerpicarsi nel tentativo di cambiare i destini della musica, torna a lavorare in qualche modo sull'emotività, sui colori del suono. Quella plozzeriana è una macchina tritatutto che schizza polpe e plastiche, un ensemble a metà tra la plunderphonia di John Oswaid e lo scazzo da mulinazione di polvere di stelle di Fatboy Slim. Campionamenti, schegge, scintille, e un paio di loop ritmici per dare a tutto un falso movimento. E dietro quel suono molto distorto c'è una perizia compositiva degna di nota, le croste da rhythm'n'blues di serie Z usate sono quelle giuste, i fantasmi vocali che affiorano straconvincono. C'è anche un singolo, per dire, Peter's Green. E ciò nonostante, l'insieme suona molto deep. Ridendo e scherzando sentiremo ancora parlare di loro. (7/8)

Christian Zingales