Probabile che all'inizio possa intimorire col suo aspetto da magma freak, ma bastano un paio di ascolti perché Full Speed In The Wrong Direction si agganci alla collottola, bislacco e allarmante, lieve e spaventoso. Il debutto "ufficiale" dei Plozzer (dopo due lavori autoprodotti) mette in scena un'insopprimibile propensione al patchwork, folle gioco di ossessioni sovrapposte tra samples di funky sporco e digrignante, squadernamenti electro, rumorini da videogame, psichedelia, jungle e drum'n'bass, tutti insieme a darsi fuoco, a reinventarsi, a significare di nuovo e di più.
Il depistaggio vicendevole tra vintage estirpato al proprio tempo e bailamme cibernetico provoca come un senso di vertigine, quasi mancasse la terra sotto ai piedi. Ma ci si abitua e ben presto sembra di indovinare una frequenza portante tra le quattordici tracce, vale a dire un rumore di spaesamento, di rabbia e sconcerto, l'esserci irrappresentabile in un mondo carnefice.
Dalla generosa tracklist, i momenti che preferisco: uno è di sicuro Attack of the Giant Pinballs (liquami jungle, baluginii orientali, inquietanti bombardamenti playstation), poi il bofonchiare pachidermico di Subwoofer's Revenge e la conclusiva Chicago (con quell'andazzo funky soul, le chitarre in decollo lisergico, un sogno di robot a sbaragliarne le sembianze), mentre Peter's Green (Clouds over the Well of Joy) germoglia squillante attorno ad un riff acido e granuloso, poi una frase ritmica estorta a Get Off Of My Cloud degli Stones, quindi la psichedelia che si fa largo tra shout da bluesman e corde madreperlacee pseudo Who.
Merita altresì di essere sottolineata l'adrenalinica fluidità del programma: si scivola dal funky iperventilato e cangiante di You Better Play It al drum'n'bass cloroformizzato di What We Did in Our Holidays, senza trascurare di grattugiarsi i calli cerebrali alle sordide impetuosità psych-house di Revolvering (What's Past is Prologue) e galoppare sulla jungle sclerotica di Chapter One: The Optimist vs. the Troublemaker, salvo poi ritrovarsi a pedinare la techno-spy abrasiva di Three-Headed Tree (viluppo convulso di basso, drumming impetuoso, ciurmaglia di effetti tranciacarne, chitarrine guitte e affilate).
Quanto al cuore del disco, è un autentico rollercoaster d'umori, passando dal boogie intossicato de Il Ribelle Revisited (iperpercussivo al punto da ricordarmi l'ultimo Manitoba) al blues scheletrito di The Rock'n'Roll Singer (con tracce omeopatiche del Lou Reed più sordido) per approdare all'ipnosi techno-beat di Chapter Two: The Optimist Meets the Rock'n'Roll Singer, algida e minacciosa, allucinata e febbrile, impenetrabile e pulsante. I Plozzer insomma esordiscono come una promessa già mantenuta. E intanto Snowdonia - come cazzo fa? - non sbaglia un titolo.
(7,2/10)

Stefano Solventi