Un continuo riflusso, una corrente ostinata e capricciosa in retromarcia sul e verso il presente, a raffiche e sbandate che la prendi per un agguato e invece ti vuole soltanto sciacquare la testa, salvo poi ritrovarti col tremito alle ginocchia. Questo mi sembra, tra le altre cose, il disco d'esordio degli Scarapocchio, alias Riccardo Amabili e Marco Carala da San Benedetto del Tronto.
Giovani, i due, magari neppure si rendono conto dei cortocircuiti mnemonici che t'innescano quando Attenti, Sono Felice! parte a sciorinare il suo ratataplan, scariche elettriche superficiali che s'infilano tra i detriti balenando dejà vu ora frizzanti ora insidiosi, la sintonia regolata in direzione dei CCCP più beffardi o se vogliamo degli Skiantos più acidi (Jimbo), senza scordare gli Afterhours in fregola oppiacea (Mangime) o certe evoluzioni angolose/sfasate alla Bugo-RUNI (l'iniziale e iniziatica Bafe/Alfe).
Aggiungerei una palpabile allure post-wave, in bilico tra Pop Group, Devo, Happy Mondays e Pere Ubu (da Endoscopia a Transistor passando per Butterfly), tanto per incapricciare una ricetta che comunque è più semplice ad ascoltarsi che a descriversi.
Riassumendo, batterie elettroniche, chitarre infebbrate, tastiere destabilizzanti e voci poco attente all'accademia, tutto insieme a farcire canovacci inquieti e storti, commedie del tragico rovesciate in assurdo trasversale sul cadavere ancora caldo del vivere giusto.
Detto ciò, è il caso di specificare che i nostri non si limitano ad applicare e combinare schemi o formulette, la qual cosa ci avrebbe piuttosto scocciati a dire il vero, bensì si buttano a fare la loro cosa mantenendo tutto il background di cui sopra (ed altro) sotto la linea di galleggiamento, come se ne fossero pervasi fino al midollo, come fosse la loro calligrafia spontanea avvinghiata all'esserci ora e qui.
In altre parole, afferrano l'urgenza per la collottola e te la schiaffano sotto il naso, non prima di averla sottoposta ad un salvifico bagno d'ironia, tanto da stemperare i toni e smorzare gli spigoli di canzoni altrimenti piene di liquore urticante e minacciosa amarezza. Si torna quindi col pensiero al caro Ferretti, al suo declamare meccanico, follemente neutro, sul punto d'esplodere nevrotico (è il caso di Pistola) o implodere sordidamente nonsense (come in Tabaxo).
Spicca sul resto - per come si concede morbida all'ascolto - Spermicidio, riff adesivi di chitarra e tastiere in guisa di ballata esistenziale, probabile hit single d'una realtà parallela in cui vale la regola del ci vuole orecchio e nessuna paura per i cavalli di Troia, visto dove va a parare il testo all'apparenza non troppo nocivo e invece.
Alla resa dei conti, si consuma il misfatto di un disco gradevole e meticoloso nell'espletare la sua subdola missione, che è poi quel festoso minare le fondamenta che tanto ci piace incontrare in un disco rock. Chapeau.
(7,2/10)

Stefano Solventi