Discorrendo di rock, e volendo riferirsi a un praticante attivo di rock - per essere italiano (nativo d'Italia) occorre: 1) essere abbastanza anacronistici 2) mediamente ispirati 3) avere brutte copertine, un pò sciatte o pretenziose 4) abusare di Syd Barrett negli ascolti (ma forse questo capitava venti anni fa; oggi si citano fra i referenti quelli che un tempo citavano Syd Barrett fra i referenti) 5) sapere vagamente cos'è successo negli anni ottanta nello psicosottobosco italico 6) oppure semplicemente lasciar perdere il tempo, l'ispirazione, la grafica, le vecchie glorie e chiudersi in microcosmi di specchiata fedeltà a se stessi. Se vi sono canzoni, vi sono atomi; in natura sono mescolati fra loro (se omogenei) e comunque la scienza ricombinatoria chirurgica d'oggidì fa miracoli. Monade ben strutturata è Franco Di Terlizi, one monade band, qui alla prima prova possibilmente "ufficiale", dopo due buoni lavori autoprodotti dalle belle copertine che hanno allietato pomeriggi sparuti di (mal)addetti ai lavori. Il grosso di "Sugar Plum Fairy" viene da lì, aggravando la sua posizione identitaria con qualche canzone di nuova produzione. Sappiamo dunque che non sobilla rivoluzioni perché è italiano e gli italiani non sono neppure al-limite-riformisti. In più: è onesto. Tanto onusto quanto onesto, perché del resto, anche a barare, mancherebbero il rilancio e la vincita. Poi: è psichedelico, perché è sgangherato lui, prima della produzione di casa Di Terlizi, e quando ci si sganghera, è più facile pensare che tu abbia fumato e abbia il poster del magical mystery tour a vegliare sul multitraccia. Vediamo cos'altro; è senz'altro proteso a protesi d'america; i pezzi sono tutti (presumibilmente) composti alla chitarra, e la seguono fedelmente, con un modo di gracchiarle (cantarle, sì) e di lasciarle scorrere ch'è solo americano, in prevalenza lasso (ma non lassante, facciamo allora forse dolcemente stimolante). Ballate, sporche, con un pò di vento (di ventilatore) fra i capelli, quasi composte senza richiederne un giudizio a chi l'ascoltasse, come immote in un giorno di calura senza sesso. La scrittura, non urgente (ma quanto onesta!) permette un ascolto di troppe canzoni, che sono 14 e allineate quasi nulla fosse dei 50 minuti di percorrenza. Flying Back in Time, l'episodio più "teso" compositivamente è una piccola delizia bislacca che suona come suonerebbe Casiotone for the Painfully Alone se fosse un musicista di buon umore; un organetto distorto contrappuntato da chitarrine e cori johansebastianbachiani ne trascinano l'andatura sino all'apertura salmodiante del finale. Lo sdilinquimento post-onanistico di You can Sleep Now sgocciola quattro minuti e mezzo di licantropismi sazi; The Alien and the Sea è la My Guitar Gently Weeps dell'era Berlusconi; Rollercoaster finalmente confessa tutto come un Mark Kozelek intrappolato nella nursery. Mi sembrano i pezzi migliori; ma il tutto fluisce senza fastidiare. Se quanto scritto non è chiaro vi siano d'aiuto le frasi di presentazione dell'ineffabile Snowdonia: "un viaggio alla ricerca di un folk impossibile, ovvero: può un filippino diventare americano indossando un capello alla moda?" Non sono stato cattivo, vero?

Alessandro Calzavara