L'arcano non va svelato immediatamente, meglio lasciare che si scopra riga dopo riga, o che per i più curiosi sia facilmente rintracciabile rimandando al termine di questa pagina.
Gli Aidoru incuriosiscono da subito, non solo perché, come da definizione, ogni gruppo che porti il marchio di fabbrica Snowdonia abbia sempre dalla sua una dose smoderata di eccentricità+novità=bravura, nemmeno per il consueto artwork cheap & kitch che contraddistingue gli album dell'etichetta siciliana, qui nella sua versione esistenzial-inquietante. Quello che lascia scorrere questi "13 piccoli singoli radiofonici" e che fa sì che possiamo goderne la bellezza è -udite udite- null'altro che la loro stessa grazia. Nessun artificio, nessun malcelato o esplicito riferimento ad alcunché: nulla. Solamente un gruppo, un'entità eterogenea che non ha nemmeno l'arroganza di porci di fronte la solita distinguibile, stanchevole formula vocechitarrabassobatteriatastiere. Nulla di tutto ciò, fortunatamente.
Non che gli Aidoru non utilizzino questi strumenti, ciò che li contraddistingue è però la bella abitudine alla libertà espressiva, concetto che perdiamo di vista spesso e volentieri ma che andrebbe tenuto più spesso in considerazione. Fuori da mode, generi e stili, gli Aidoru giocano di sponda, se ti lasciano a bocca aperta in un brano, nell'altro te la fanno chiudere senza lasciare il tempo di replica. Dichiarano guerra ora alla poesia, ora alla metrica e rinnegano sé stessi con la limpidezza che non consentiresti a nessuno al di fuori di chi, di proposito, ne fa un vero e proprio manifesto d'intenti.
Così eccoci di volta in volta di fronte, in ordine abbastanza libero, ad un muro di rumore bianco, ad una improvvisazione libera, ad un selvaggio strumentale, ad una canzone che pare uscire dal migliore Robert Wyatt, ad un technorock analogico, ad un'aria rinascimentale, ad una sorta di piano bar alticcio che ti farebbe venir voglia di salire in piedi sulla sedia e ballare isterico.
Che tutto ciò sia frutto di un lavoro non compiuto, in continua evoluzione, è fuor di dubbio. Sarà interessante scoprire dove potrà andare a scontrarsi, ed eventualmente ad arenarsi un giorno quest'attitudine anarchica ma ordinatissima, disciplinata com'è nel mantenersi fuori da qualsivoglia classificazione e rigorosamente (orgogliosamente) priva di riferimenti che non siano quelli dettati dalla propria indole destrutturante. Questo per un probabile futuro. Per oggi, invece, facciamo che gli Aidoru siano il nostro nuovo, meraviglioso idolo.
A proposito: "Aidoru"è il modo in cui i giapponesi pronunciano la parola "Idol”: non è detto che possiate anche voi parlare la loro stessa lingua.

Andrea Salvi