La fusione fiabesca, teoricamente ipnotica, di opere teatrali con le "maligne" note melodiche di una band, intangibile o tangibile (poco conta), equivale al sogno, questa volta concreto, di noi esseri umani, di noi viventi, creature dotate, almeno apparentemente, di un'elevata sensibilità.

Il secondo album targato Aidoru, "13 piccoli singoli radiofonici", è il puro esempio di come sia possibile e fattibile (chiedo venia per il volontario gioco di parole) quello "scherzo" sonoro fra la musica e il teatro (Teatro Valdoca); momenti di pura fantasia uditiva, inimmaginabile fusione d'elementi perfettamente incassati fra loro, incredibile sovrapposizione di generi musicali: questo è "13 piccoli singoli radiofonici", seconda, "scomoda" e alquanto "duttile", opera del quartetto romagnolo.

La band, inizialmente diretta verso la "subdola" scena punk e ora seriamente impegnata in collaborazioni teatrali (vedi Mariangela Gualtieri, autrice, tra l'altro, della maggior parte dei testi), propone importanti virate stilistiche passando, con immensa facilità, dalla wave al noise e dal pop al jazz; e così come non pensare agli Xiu Xiu di Jamie Stewart ascoltando "90 la paura" e come rimanere impassibili di fronte al rumorismo (di marca Faust) di "Parole porte parole ali" (ah proposito, il gioco vocale di John de Leo, Quintorigo, potrebbe essere l'emblema dell'album). Impossibile rimanere algidi dinanzi allo spessore stilistico del noise di "Preludio op.28 n°2" (cover di F. Chopin) e, ancora, assurdo non sognare con il dolcissimo "frizzante" jazz di "Se la parola amore".

Il secondo album degli Aidoru è la pura conferma della band, la pura fusione fra l'arte e la musica contemporanea; splendida seconda prova per uno dei gruppi più interessanti degli ultimi mesi. (8/10)


Francesco Diodati