È veramente difficile parlare di questo disco sezionandolo nei singoli brani, spesso poco più che bozzetti di minimal-art, dal momento che a dispetto del titolo suona come un tutto unico, talmente ben congegnato da confondere completamente le idee, da far pensare, mentre scorre il quarto titolo, di essere ancora alla scena iniziale. Una sensazione ancor più sorprendente se raffrontata ad una varietà d'atmosfere più che multipla; talmente variegata da far pensare ad un lavoro di sintesi fra vari 'generi' musicali, magari non sempre riuscito, mentre in realtà si tratta ancor più di un lavoro polimorfo. Dal Wyatt che fa capolino in Nothing Infinity Reality, alle slinterie di Giorni e al jazz-style (council) di Se la parola amore sembra essercene di strada, quando poi il tutto sta chiuso in una stanza (come il cielo di Paoli)… nella stessa stanza. Ma al di là delle forme, e dove sta mai una forma pop 'pura' oggi, "13 piccoli singoli radiofonici…" è un disco che dona una botta di vita al calderone della canzone italiana, intendendo dire con questo 'cantata in italiano'.
Lasciando libera la mente, e la fantasia, ecco allora apparire il De André che cova sotto le braci di Io guardo spesso il cielo e Angelo-gnomo, oppure i New Trolls che, complice le suggestione indotta dall'uso della voce, si librano in Se dormi, Parole porte parole ali e Ossicine. Il riferimento ai New Trolls (anche loro genovesi e autori insieme allo stesso De André di "Senza Orario Senza Bandiera”) può sembrare denigratorio, ma non lo è affatto; seppure i 'saccenti' della storiografia rock tendano a ignorarlo, il gruppo di Vittorio De Scalzi e Nico Di Palo era inizialmente proprio un gran gruppo.
Tornando ai "13 piccoli singoli…"è forse il caso di stazionare un attimo sui due prototipi più riusciti: Parole porte parole ali e Fas 3 bis.
Nel primo la sottile tensione creata dalla tastiera e da un ritmo di stampo trip-hop si alterna con un drum'n'guitar dal sentore di classica ballata rock, contemporaneamente la singola voce iniziale, ripresa dopo ripresa, si intreccia con altre. Parlare di arrangiamento geniale (John de Leo per le parti vocali) è d'obbligo.
Nel crescendo iniziale di Fas 3 bis sembra di ascoltare i Quicksilver Messenger Service, ma, dopo l'ingresso della voce soul-incattivita di Morena Tamborrino che vola verso una plausibile perdita di controllo, l'atmosfera si inasprisce e incattivisce come mai il gruppo di Cipollina avrebbe potuto; nel finale ritorna, a scemare, il mood iniziale, tanto che ti aspetteresti di sentire attaccare lo storico viatico rappresentato da Happy Trails. Nulla di tutto ciò, seppure le distanze non siano così considerevoli visto che la coda è rappresentata da un onirico strumentale semiacustico: Phase-difference.
Fra gli strumentali, ancor più dello chopiniano Preludio op. 28 n° 2 rockisticamente arrangiato, emerge un Ni-rokuche potrebbe essere stato ideato da un Morricone anfetaminico.
Ma Aidoru è qualcosa di più di un gruppo, e allora bisognerebbe parlare dell'associazione, dei collegamenti con il Teatro Valdoca, delle attività organizzative, dei trascorsi punk e finirei con l'andare troppo lontano. Magari in un'altra occasione.

Etero Genio