Maisie, canto e disincanto Mi permetto di proporre al ministero della Pubblica Istruzione che il disco dei Maisie, “Morte a 33 giri” (co-prodotto da Snowdonia e Seahorse), venga adottato nelle scuole tra gli strumenti didattici. Sarebbe utile, con il suo “racconto in note” , per riflettere - nell’ora di filosofia, o di religione, o di educazione civica… - sulla disillusione giovanile (il canto ed il disincanto). Il cd tratteggia l’agonia di una generazione che ha “spento” il '68, il '77, l’85 (come si sottolinea nella title track). E oggi? Per i Maisie c’è una generazione di morti viventi che hanno anche la loro Maria Goretti (Maria De Filippi a cui si dedica un brano). Si canta il “disgusto” per i falsi miti («La mia ansia di rivolta si annoia come un malato in barella»); si urla ma con toni distaccati, come se si fossero perse emozioni, sentimenti, passioni. È un disco ermeticamente “funereo” (un tarlo divora cerebralmente sin dalla nascita, come raffigura la cover) perché si osservano le contraddizioni (si guardi la raffigurazione al centro del booklet di fabbriche asfissianti, di veleni industriali sparsi nei fiumi e su quello sfacelo c’è chi dipinge paesaggi bucolici ed acque limpide). È tutto “Sottosopra” ( come il titolo del brano in cui si canta «l’ombra del sole su di noi»). Non si riesce a comunicare, più che umani si è robot… Cinzia La Fauci e Alberto Scotti, colonne dei Maisie (anche se non va minimizzato il contributo degli altri due componenti Paolo Messere e Carmen D’Onofrio) sono cantanti, discografici, compositori (Cinzia è anche grafica ed ha disegnato la cover ed illustrato il booklet con Stephanie Gaeta). La loro è musica alternativa, post-rock, con programmatori, strumenti campionati. Sprazzi progressive in “Sistemo l’America e torno” che ci ricorda - forse per la presenza di un suggestivo violino e dei guizzi delle vocalist - la suite “Aria” dell’Alan Sorrenti dei Settanta. Non si pensi che sia il solito disco di “tre allegri ragazzi morti” (anzi quattro, essendo i Maisie un quartetto); non c’è, nonostante tutto, una visione nichilista. Si pensi al brano “Allargando le braccia”, in cui si invita ad “accogliere” nell’abbraccio; a cambiare («Ho bisogno di un orizzonte, per ritrovare ancora te, cercandoti tra le ombre al limite di questa città»). E non è un caso che ci siano brani cantati anche in giapponese ed in arabo. Non ci si può chiudere nel proprio “io”, nei propri limiti e paure. “Morte a 33 giri” può anche significare che abbiamo, noi non più giovanissimi, le nostre responsabilità (penso a Giorgio Gaber che cantava “La mia generazione ha perso”…). Sì, questo disco andrebbe portato a scuola. Ragazzi mettetelo nello zaino.

Gaetano Menna