"Ma io mi domando, perché realizzare un'opera, quand'è cosi bello sognarla soltanto?".
Si chiude con queste parole, le uniche pronunciate in modo intelligibile dopo quasi un'ora di ascolto, il nuovo disco del Laboratorio Musicale “Suono C", collettivo di improvvisatori pugliesi guidati da Gianni Console (computer e sax alto). Questo album che esce su Snowdonia, registrato di notte in piena campagna, nasce dall'idea di esplorare incubi e paure (il Fobetore nella mitologia greca e nelle Metamorfosi di Ovidio è un'entità che sovrintende gli incubi), e più precisamente di "cercare uno stimolo per lottare contro le ormai comuni fobie che modellano i nostri sogni". Diciamo subito che l'esperimento è pienamente riuscito e il disco è un'esplosione di idee e sollecitazioni sonore. Quando il piccolo ensemble improvvisa si viaggia fra tesissime navigazioni a filo dell'udito, con più d'un richiamo alle ardite sperimentazioni creative degli anni '70 e vaghi accenni di fusion stranita e sfilacciata (la titletrack, col basso circospetto di Giovanni Zaccaria e il vibrafono spaziale di Giuseppe Tria). Diversamente su Ertofobe si ascolta un complessino di paese che si dimena fra pruriti jazz-core e circonvoluzioni free-funk (bellissimo il flauto volatile di Donato Console). ll leader Gianni Console si esprime anche in solo, per lo più al computer, dividendosi fra l'ostinazione per scorie elettroniche in libero imperversare (Orbofete, che poi lascia divagare ogni monade in uno scenario che occhieggia a Xenakis) e il seducente utilizzo di carillon e delicati campionamenti pianistici (Bofereto). In coppia col fratello Donato partorisce poi il capolavoro del disco, il duetto per computer e fiati Terfobeo, che parte da un livido quadro di impressionismo etno-free per lasciare spazio a un lirico solo braxtoniano assalito nel finale da un'ossessiva tormenta elettronica. E' infine geniale la melliflua armonia chitarristica di Walter Diserio nella conclusiva Efotobre, mentre gli altri si dan da fare con piallatrici, betoniere e trapani. Un album suonato con grande intelligenza e perizia, che riesce a non perdere mai il filo di un discorso complesso e ricco di simboli e suggestioni, espressione fulgida e compiuta di una scena sperimentale meridionale ancora poco documentata nelle cartografie critiche odierne. E un bel grazie anche per non sostenere la pace onirica. (8)

Federico Savini