Dal cilindro Snowdonia escono gli esordienti Zweisamkeit, trio salentino dal piglio DIY e il codice genetico strapazzato wave, neo-psichedelia, risonanze cosmiche e seriali kraute, vampe industrial, emulsioni ambient e vaticinio androide Warp. Comunque in grado, malgrado la complessità delle premesse, di produrre una calligrafia solida e coerente lungo la direttrice poetica che ondeggia tra il mistico e l'apocalittico. Per dire, in apertura di questo Il santuario della pazienza - titolo preso in prestito dall'opera scultorea in cemento e rifiuti dell'artista leccese Ezechiele Leandro, di professione spazzino - c'è una Limiti urbani che scomoda l'estro spirituale di Ivan Segreto in una glassa androide radiohediana, uno di quei pezzi - l'unico "cantato" del programma - che ti fanno stringere il bracciolo della poltrona e scomodare il prurito delle cose grosse.

Il resto della scaletta non è altrettanto buono - altrimenti saremmo qui a gridare al capolavoro - ma è parecchio interessante, muovendosi come un sogno estatico Neu! (la stupenda Venezia) o un conato espressionista tra Autechre e Einsturzende Neubauten (La rinascente), palleggiando sparsa acidità nella inquietamente dispersiva L'alba degli anni Novanta . Se certe soluzioni sonore appaiono votate ad un'effettistica più sensazione che altro (certe sgasate Suicide , la chitarra e-bow vagamente CSI, l'iridescenza Terry Riley ...) va detto però che pennellano un quadro d'insieme suggestivo, come sguardi successivi sullo sfacelo ambientale, civile ed emotivo consumato nei paesaggi urbani contemporanei.

Ai margini della tela s'intravede un'ipotesi di riscatto, come un rivolgimento dell'anima, una salvifica implosione (forse riconducibile alla fuga dal mondo verso l'intimità di un ideale rapporto a due cui allude il termine tedesco zweisamkeit, malamente traducibile come "duitudine"): l'avverti come una vibrazione di fondo costante, un bordone quasi impercettibile, ed è l'ingrediente fondamentale. (7,1)

Stefano Solventi