I ritorni. Quelli belli. Quelli improvvisi, inaspettati. Quelli firmati Snowdonia Records . Della serie, a volte ritornano. E ritornano bene. Molto bene. I come back. Tornerò, forse. Tornerò, comincia a sorridere. Torna a casa, voglio stare con te. Torna a casa, è pronto. Torna a casa ma non citofonare, non ti aprirà nessuno. Torna a casa, ti si aprirà il mondo. Torna a casa, mi troverai sul letto. Nudo. Torna a casa, sono anni che ti aspetto. Quanto sei bello. Mamma, ho la pelle d'oca. Mamma, ho la febbre. Mamma, ti amo. Mamma, lo amo. Mamma, sono anni che lo aspetto. E dopo Andrea Tich ed il suo meraviglioso (semplificazione disgustosa e fin troppo banale di un grandissimo disco) “Siamo Nati Vegetali” (Snowdonia – 2010), tocca a Stefano Testa, musicista e cantautore romano dei settanta (prog?) che furono, rientrare in scena, con il nuovo album, il terzo se consideriamo lo split con il clarinettista Tony Scott (1989), “Il silenzio del mondo” .

Sfumature. Sinfonie. “Il silenzio del mondo” , quattordici brani, un'ora di musica, forse troppa. Stefano Testa, voce calda, barba lunga, paroliere perfetto, gigante intatto, spalle larghe, spalle strette, capelli bianchi, molto bianchi, capelli lunghi, molto lunghi, muscoli deboli, muscoli fragili, occhi blu, poesia d'altri tempi, la musica leggera, la musica d'autore, la musica, la musica che prima sfiora delicatamente il pop (“Metamorfosi”, “Niente” ), poi tocca il cantautorato degli '80 ( “Trecento gradini” ) con arrangiamenti sopraffini, lenti ed eleganti, poi accenna qualche breve, piccolo, passo falso (le quasi riempitive “Pilù Pilò” ed “Io con te” ). Niente di grave.

“Il silenzio del mondo”, Snowdonia Records ripesca l'Italia, ritrova Roma, ritrova l'autore, il lirismo, la sinfonia, le ballate, le emozioni, il cantautore. Più semplicemente, Stefano Testa.

Francesco Diodati