Ultimamente l'etichetta Snowdonia ha il vizio di ripescare cantautori dimenticati, e questa volta è il turno del romano Stefano Testa, defilatissimo sperimentatore della canzone che negli anni del prog (ed è in quell'ambito che ha conservato un certo culto) pubblicò il valido "Una vita, una balena bianca e altre cose" per poi sparire nel nulla, a parte un introvabile album degli anni '80 insieme al grande e sfortunato clarinettista Tony Scott. Testa, si sarà capito, non è uno che cerca la ribalta a ogni costo e quindi dell'attualità gli frega ben poco. Questo nuovo album è infatti una raccolta di raffinate pagine pop italiane, sognanti e orchestrate (bene, dall'arrangiatore Remo Righetti). Un disco che tradisce le radici anni '70 del nostro, ma riconsegna un'autore dalla vena lirica narrativa e personale, fra intimismo metaforico e ritirate nell'arcaismo, esposta con fare discreto e ricchezza di immaginario. La musica ne consegue, distesa su melodie fluttuanti con giusto qualche impennata, bagnata in suggestioni folk mediterranee e mediorientali (vedi Musica, ma anche il Brasile di Metamorfosi, con pure un pizzico d'India in Trecento Gradini) e la marcata tendenza a miscelare piano e archi da una parte e ritmiche elettroniche dall'altra, in direzione Battiato ma senza una comparabile efficacia melodica, così non tutto funziona a meraviglia. A dire il vero dove la componente elettronica prevale arrivano alcune tra le cose migliori, come la finale Camicie azzurre e i sobbalzi battistiani di Nel vostro quartiere. E' un disco a lenta digestione, dove si intrufola anche la noia, ma che rende benissimo l'idea di quanta arte ci voglia per scrivere e cesellare una canzone.

Federico Savini