Quando eravamo giovani ci siamo letteralmente ammazzati di tutto quello che veniva dal post-hardcore, e quindi tutto l'albero di band di Louisville figlio degli Squirrel Bait (Slint, Bastro, Bitch Magnet, For Carnation) e non (Rodan, June Of 44), Don Caballero (e Storm & Stress), Blind Idiot God, Dazzling Killmen e Laddio Bolocko, i Rapeman/Big Black/Shellac di Steve Albini, Fugazi, NoMeansNo, Jesus Lizard, il jazzcore (Saccharine Trust, Sabot, la scena italiana con Zu, Demodè/Squartet, gli Splatterpink/Testadeporcu di Diego D'Agata), ma anche gli Uzeda, i Primus, e su indietro fino a The Process Of Weeding Out dei Black Flag o a quello che insieme a poco altro con pari efficacia profetica ci sembrava il big bang della disintegrazione della forma rock/blues classica in senso appunto post-rock (almeno di tutto quel post-rock non elettronicofilo ), ovvero il Beefheart strumentale (per esempio quello semplicemente sorprendente delle outtake di Safe As Milk ).

Bene. Tutto questo per dire che abbiamo le orecchie vaccinate ed è proprio cosa rara ormai che noise, jazzcore, math, post o tantomeno metal tecnico, matematico e progressivo - abbiamo in testa gli Atheist, ma anche Dillinger Escape Plan, Commit Suicide e via dicendo tra mathcore e brutal - riescano a sorprenderci o almeno avvincerci davvero. E qui arrivano i tre genovesi David Avanzini, Matteo Orlandi e Mattia Prando, gli Unsolved Problems of Noise (dal nome di un congresso di matematica applicata ai problemi del rumore ), chitarra-batteria-basso ma anche saxtenore-batteria-basso. Sono nati nel 2005 ma debuttano adesso su Snowdonia in coproduzione con TeslaDischi. Loro dicono di fare post-atomic instrumental noise e in effetti dietro l'artwork entomologico e geologico come in un mix tra Il Silenzio degli Innocenti e i Ruins di Tatsuya Yoshida (aggiungere prego alla lista) troviamo qualcosa del genere, ovvero una miscela di molto di quanto sopra elencato.

Le filiazioni, i riferimenti o almeno i parallelismi sono tutti in bella mostra ( Formicazione Parte 1 sembra un pezzo degli Shellac; la Parte 2 , dopo una intro death/prog/freejazz-metal, coi suoi stomp secchi ricorda gli Zu di Tom Araya Is Our Elvis; riferimento questo obbligato anche per la successiva Le Pecore Elettriche Sognano gli Androidi?; e così via), chiaro, ma i ragazzi li conducono e mescolano ottimamente, con un deciso tocco psichedelico e una dose di emotività epica che deriva sicuramente da certi ascolti metal. Non solo assalti hardcore quindi, tra intro arpeggiate, controtempi, tempi dispari, riff meccanici, rullatissime a doppiare eccetera che dominano la prima metà del disco, ma anche la ambience cinematografica, quasi cameristica, di Una Formica Da Marciapiede; il fumoso jazzblues, quasi morphineano, di L'ultimo Grido in fatto di Silenzio; l'epico/tragico arpeggio di Dromofobia Parte 1, che ci ha ricordato tanto - ma proprio tanto - la Tragic del supertrio Bozzio Levin Stevens; le sognanti svisate di chitarra di Il Diavolo A4; la bellissima avvincente jam di fusion psichedelica All Jazz Hera, con sfoghi di jazzcore circense alla Bromio sul finale. Bravi: 7+.

Gabriele Marino