Che qualcosa nel panorama musicale italiano si muovesse, per quanto nel sottosuolo, lo avevamo sospettato. L'anno scorso, con Rough Brass, 3Fingersguitar si era mosso un po' più degli altri regalando un EP di indubbia qualità. Oggi lo stile è immutato, ma il resto sì: tanto il disco del 2013 era vario per temi e influenze quanto l'ispirazione di Rinuncia all'eredità è focalizzata e uniforme, a tutto vantaggio del prodotto finale. E poi la lingua dall'inglese è passata all'italiano, in funzione di testi più curati e intimistici, incentrati sul rapporto travagliato tra padre e figlio.

Per la produzione di un vero e proprio concept album era necessaria una netta maturazione artistica, ed è esattamente quello che è avvenuto: a cominciare dal grande impegno profuso anche negli arrangiamenti, che passano dal minimalismo della sola chitarra elettrica o acustica agli opprimenti loop sovrapposti del singolo P. Senza particolari scarti si va da atmosfere rabbiose ad arpeggi tesi e raramente banali, ma sempre con la coscienza di leggere tanti capitoli di una stessa storia. Così si avverte, man mano che si procede nell'ascolto, la storia che si dipana, fino a provare un tangibile senso di liberazione amara per la conclusione dell'album, Fine, che ne contiene tutte le cifre stilistiche. È un disco studiato a fondo, frutto di una buona ispirazione ed interpretato con grinta e piglio post-punk. Sulla bravura tecnica di Simone Perna (questo il vero nome del polistrumentista) non c'è da sindacare, ma il cantato – forse a causa del cambiamento nella lingua dei testi – non sempre riesce a diventare coinvolgente, evidenziando così i limiti di questa  one-man band che altrove funziona molto meglio. Restano la capacità di emozionare, la profondità con cui è trattato il tema del contrasto generazionale e la ricerca espressiva che l'artista savonese ha completato con successo in questo anno di lavoro.

Lorenzo Goria